Ritorni

Aprendo la porta, a causa della scarsa luce che entra dai vecchi balconi, gli occhi ci mettono qualche istante ad incollare il ricordo del salone d’ingresso con la realtà. Faccio un passo, lento ma sicuro, come un esploratore che dopo anni di avventure ritorna nel luogo della sua prima scoperta.

Chiudo la porta alle mie spalle spingendo con il palmo della mano lo stipite dietro la schiena, con la forza giusta, senza farla sbattere, come si riesce a fare in quel luogo che chiami casa. Solo, quasi silenzio dentro, fuori la città quasi rumorosa: è mezzo giorno e io sono mezzo felice, mi siedo.

Mi lascio cadere sul divano che ricordavo più morbido, ma forse anche lui mi ricordava più leggero. Rimango seduto sulla punta del cuscino, i gomiti appoggiati sulle ginocchia, con le mani sorreggo la testa, resto così. Osservo danzare la polvere sui listelli del parquet, sembra spinta dai raggi di luce che si fanno strada prepotentemente dagli infissi, fuori Roma brucia, l’estate appena iniziata scioglie già l’asfalto e scotta le spalle di turiste dalla testa rossa e dall’accento inglese. I turisti sono sporchi. Lo penso sempre e ho ragione. I turisti toccano tutto, si siedono ovunque, mangiano panini comprati in chioschi che mi fanno mal di stomaco solo a guardarli. I turisti puzzano, puzzano di metropolitana e di autobus, di aeroporti e voli in classe economica, di bad and breakfast che trovi su internet e di deodoranti spray. Odio i piedi neri dei turisti. Calzano infradito bianche sudice o sandali da frate comboniano che non aspettano altro di sfilarsi per mostrarti le piante nere di tutto ciò che può raccogliere l’asfalto.

Guardo le mie scarpe da ginnastica.

Rimango lì ancora per un po’, la giornata è lunga, sono tornato.

 

Bagnasciuga

Vedo persone passare, tra me e il mare, sul bagnasciuga, lasciano impronte, una accanto all'altra. Sento il loro vociare, capto parole, anche in altre lingue, sento risate, versi, dialetti, mugolii, bestemmie. È la gente, sono io. Mi capita poi di chiedermi da dove vengono, che lavoro fanno, chi sono, quanto hanno sofferto e quanto hanno riso. Succede che quando vedo una faccia, o un corpo che si muove, mi sembra di capire molto dell'anima che trasporta dentro, come se il guscio fosse il contenuto: sbaglio. Però in quel momento la vita che immagino è mia, glie l'ho scippata di dosso, appartiene solo a me. Per cui che importanza ha se quella faccia per me lavora in banca, se quelle braccia caricano sacchi di cemento, se quelle mani lavano capelli o quelle gambe si aprono solo per commettere adulterio? Nessuna per loro, molta per me, ma forse vale anche il contrario.
Penso alle loro vite, per pensare alla mia è chiaro, magari le parole che sento mi ci fanno ricamare sopra una storia: "ma lui dice che non si fida".
Questa, con quel culo sicuro è una furba, fa la segretaria da un notaio, lavora fino alle sei del pomeriggio e tre volte alla settimana va in palestra e si infila in una tutina aderente fuxia, segue un corso di kick box perché con la gente che gira non si sa mai, e uno di pilates che non sa nemmeno che cazzo vuol dire ma lo fanno tutti. Sta comunque pensando di lasciare questo corso a favore di uno di acqua jim perché lo fa anche la sua migliore amica e dice che non ha più un filo di cellulite e che con il maestro si trova tanto bene. Da qualche anno vive da sola, in un bilocale in centro, e sopra la tv ha una pianta grassa perché proprio da quella scatola una sera un professor Tizio ha detto che mangia tutte le radiazioni, rendendo l'ambiente più salubre, (questa parola per altro le è piaciuta talmente tanto che il giorno seguente, in ufficio, ha trovato un pretesto per usarla dicendo: "da quando vado in palestra mi sento più salubre"). Naturalmente con il suo lui ancora non convive perché è troppo presto e poi in fondo chi glielo fa fare a perdere la sua indipendenza, per sposarsi e iniziare a cambiare pannolini, cospargendo piccoli genitali arrossati con il fissan, c'è sempre tempo. Poi lui è troppo possessivo, le fa le scenate se mette la gonna un po' più corta del solito e a volte la chiama al lavoro con una scusa per sapere come è vestita. Non si vuole sentire oppressa, proprio ora che ha tutto: un buon lavoro, la casa in centro, la donna che una volta alla settimana viene a sistemarla e a stirare, la nuova y color panna che con ancora 32 rate sarà sua e un guardaroba da urlo, perché ha un' amica che lavora allo spaccio e quindi le fa lo sconto sullo sconto.
In conclusione "ma lui dice che non si fida" a mio giudizio fa bene perché quella cena con il notaio non è per lavoro, ma per approfondire la prova orale che è già stata superata con il massimo dei voti.
Va così, che pensi questo delle persone che vedo, e anche di molto peggio, anche di meglio però, solo che lì le storie che mi vengono sono molto più brevi: i buoni spesso mi risultano noiosi, come i corpi che li contengono.
Al di la di quello che posso pensare, la gente, io, continua a sfilare su quel bagniasciuga, mettendo un'impronta affianco all'altra, qualcuna resiste più a lungo alla carezza delle onde, altre neppure il tempo di delinearsi, nemmeno te ne accorgi e già la sabbia è lucida sotto il sole ad aspettare qualcun'altro.
Io non so che impronta lascio, mentendo mi convinco che non me ne curo, però ho capito che il segreto è camminare, senza esitare, riprendersi subito dalle buche, far finta di non sentire i tagli delle conchiglie, per arrivare a quel punto sull'orizzonte, dove mare, cielo e sabbia diventano tutt'uno.
 
 
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