Senza salutarmi

Ho pensato alle vite giocate nei bar, anzi nel bar, perchè quelle vite ne scelgono uno, dopo averne bevuti tanti. Ne scelgono uno dove sedersi a rigurgitare bestemmie e mangiare sigarette, una dopo l'altra, che non si posso e non si devono più contare. Ho pensato a quelle vite appese a carte consumate da mani ruvide e veloci nel contare i punti, nello spostare il bicchiere per scriverli su piccoli fogli di carta già usata per segnare altri punti. Ho pensato alle vite lente divorate dai rumori della fabbrica, passate a respirare ruggine e a sciogliersi gli occhi, a quelle vite con i polpastrelli opachi di lavoro fatto per altri, per costruire sogni di altri, perchè tutte le cose che abbiamo si costruiscono. Ho pensato alle vite di pelle bruciata dal sole e dalla libertà, che riempie i polmoni di mare e malinconia, le mani di cartoline mai spedite e le scarpe di pezzi di paesaggio e pioggia. Ho pensato alla vita di mio nonno, passata senza mai un acuto, a mangiare sempre tutto quel poco che c'era nel piatto e ad intingere il pane nel vino dentro il bicchiere, asciugandosi le labbra sottili, le mie, con un tovagliolo bianco dai bordi marroni e a ringraziare sempre perchè era tutto buonissimo, fino all'ultimo pasto, un pranzo, prima di andarsene senza dire una parola, nel sonno, senza salutarmi con la mano gigante sopra la testa. Ho pensato alla sua vita silenziosa fatta di domeniche in fondo alla chiesa, appoggiato all'ultima colonna, vicino all'uscita, vicino a me che a mia volta mi appoggiavo a lui per sentire il suo profumo mescolato a quello dei vestiti della domenica, a far finta insieme di essere lì per Dio. Ho pensato a tutte queste vite che non sono la mia, a tutte quelle che ho respirato e sfiorato con le dita e a tutte quelle che ho provato, o forse no, ad essere senza riuscirci. Ho pensato che con la testa dentro il cuscino devo aggapparmi a questi pensieri, tenerli stretti come una preda che tenta di fuggire, che si aggrappa a sua volta al predatore, che lotta per scappare, che lotta per vivere o morire alla svelta.
 

Il gesto di Dio


I gesti sono importanti. Più delle azioni i gesti. Il picchiettare del dito sul volante per assecondare il tempo di una canzone che anche se cantata a mente suona stonata, perché non è tua, e' di chi te la cantava, picchiettando allo stesso modo quel dito. Spostare un oggetto dal tavolo con le stesse movenze che hai sempre visto in lui e credevi solo sue. Fermare una porta con il piede perché hai le mani impegnate rendendoti conto di aver fatto anche la medesima espressione del viso. I gesti sono importanti, importantissimi mentre ti radi il volto e con una mano tiri verso l'alto la pelle della guancia e segui con la coda dell'occhio la punta scintillante della lametta che affonda nella schiuma bianca, stesa precedentemente con la mano destra. Non come fanno tutti, ma come fa lui. I gesti sono importanti, importanti perché ti permettono di arricciare leggermente il naso per inalare più aria mentre tenti di non sbattere gli occhi, mentre riesci a non piangere mai, neppure quando si dovrebbe, neppure quando sei solo. I gesti sono importanti, perché te li senti addosso, in quel sorriso tirato ma ampio, con gli occhi del suo stesso colore e della sua stessa luce, mentre ti chiedono come va e rispondi bene, sempre. I gesti, i gesti, i gesti che sono impercettibili azioni che raccontano infinite storie di passato e di sangue che si è rovesciato da un vaso all'altro, da un corpo all'atro, mescolandosi ad altri ma senza mai miscelarsi appieno, con il preciso scopo di mantenere intatti quei gesti, quei gesti importanti, quell'eredita', così ingombrante, così rassicurante. I gesti li porta il sangue, li trascina per ogni centimetro del tuo corpo e del suo e saranno sempre lì, pronti per il corpo che verrà, che sarà la tua porta verso l'infinito, verso l'immortalità. Aspetteranno tuo figlio e vi si aggrapperanno come hanno fatto con te, che pensavi di averne solo di tuoi, come hanno fatto con chi quei gesti te li ha rovesciati dentro perché li ha ricevuti a sua volta. E così a ritroso, in una catena di gesti e di sangue infinita, che mescola ma non miscela, che spaventa ma rassicura, che mantiene quel primo gesto, quel primo sangue che lo conteneva. Perché i gesti li porta il sangue e nel sangue, da qualche parte c'è il primo gesto. Il gesto di Dio.
 
 
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