L'importanza del tempio

Il tempio è un consacrato involucro di rifugio. E’ una tregua, un tramite, una coperta d’infanzia divenuta troppo corta. L’importanza dei templi non risiede nelle divinità che rappresentano o presumono di contenere, se mai fosse possibile contenere un Dio, ma nelle preghiere di chi vi entra.
L’importanza dei templi è soprattutto nelle richieste di perdono. Il perdono implica una presa di coscienza. Il perdono implica una morale. Il perdono chiesto in un tempio implica il riconoscimento di un Dio, di un Salvatore: un Salvatore che ci salvi da noi stessi.
La richiesta di perdono, quando sincera, è la vita che si palesa, la comprensione della volontà di senso che ci tiene uniti, l’uno all’altro, perché il senso è nell’alterità, l’alterità ci permette la comprensione dell’Io. Siamo animali sociali per necessità, per egoismo, per avidità. Il pentimento invece è materia cristallina, pura, trasparente, impermeabile ma pur sempre materia.
I penitenti saranno tutti salvati da Dio che, se realmente tale, non li perdonerà.
 

Il tempo esatto


01.09, i numeri che regolano il tempo racchiudono significato.
1.10, rimango in attesa.
1.11, niente.
1.12, la follia sarebbe non provaci. Non provare a scardinare l’ordine del tempo. Ogni cambiamento è tale perché scuote irreparabilmente l’ordine stabilito dai numeri. La poesia è nella perfezione dei numeri o nel prendersi gioco di loro.
1.13, 2+2= 4, questo è il tempo che ci accoglie e ci imprigiona. 2+2=4, ci conforta come una madre protettiva dalla quale pare impossibile liberarsi.

Molto tempo fa, non ricordo il tempo esatto.

Sono
di ciò che ero,
e sarò
ancor d’ esso,
credo
in questo processo,
masochista e consolante.

Ora, tempo esatto: 01.21

Respiro,
aria e asfalto
si mescolano al silenzio
di un balcone aperto.
La notte profumata racconta
suoni di vite,
immagine singola.

Bisogna provarci. Devo provarci. Dobbiamo provarci. Poesie.
 

Vento immobile

Il tempo, questo tempo, è come una prigione beffarda. Una cella stretta e lunga con una piccola finestrella ferrata dalla quale entra luce fioca di giornate senza stagioni, senza orari: luce, buio.
Rimango a guardare la finestrella nella speranza di veder passare per un istante qualcosa: una nuvola, un gabbiano , la scia di un aereo. Rimango lì, guardando tra le inferriate la mia porzione di mondo distorto e compresso. Rimango lì, dando le spalle alla pesante porta spalancata della mia galera, percependo l’aria fresca che prepotentemente mi accarezza.
Rimango lì, codardo, immaginando il mondo che vorrei.
 
 
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