Perché se immaginiamo di essere qualcun altro vogliamo
salire sul quel fottutto palco come Kurt Cobain e non come Dave Grohl? Mentre tiro
la pelle della guancia per radermi davanti allo specchio non posso fare a meno
di constatare che sono vecchio. Non vecchio che ti cedono il posto sull’autobus
che non ho mai preso e mai prenderò, ma vecchio tipo “mi scusi?! E’ sua l’auto
posteggiata sulle strisce?” Oppure, “è il suo turno per l’affettato, io ho il
33, vada hanno chiamato il 32”, o peggio “no guardi non è un problema di
comprensione, suo figlio è semplicemente vivace”. Ecco sono diventato vecchio
così. Le rughe sul volto non sono proprio rughe, è la pelle che inizia a muoversi
verso il basso. Ieri non era così, oggi sì. Bam, un attimo. Eppure mentre mi convinco
del fatto che i capelli bianchi mi danno un tono interessante continuo a
pensare a Kurt Cobain, anzi, al maglione di Kurt Cobain e capisco che il mondo
si divide in due. Quelli che si chiedono “quale maglione?” E forse anche “ma Cobain
si scrive Kobain o Cobein? In che anno è morto esattamente? Overdose vero?” E quelli
che ne riescono a sentire la consistenza sulla pelle, l’odore di nicotina intriso,
il peso di una vita, di un’atmosfera, di un sound e di un evento che non tornerà
mai più. A pensarci bene se ti è capitato di vedere un concerto dei Nirvana col
cazzo che ti vedi sul palco al posto di Kurt. Ma tu però stai pensando al
maglione. Perché diciamola tutta così com’è, l’Unplugged è un’altra roba. Tutto
quello che poteva esserci era lì, l’atmosfera, il suono, i brani scelti, lui
che fa lui per l’ultima volta. Tutto quello che è venuto dopo, quel poco che
poteva essere tanto, non è valso nulla, musicalmente almeno. Il grandioso requiem
è stato l’Unplugged. Dopo Kurt era già andato, morto ma qui. Invece dentro quel
maglione c’era tutto. L’apice di una vita, di una musica, di un’epoca di un sentimento
collettivo. E allora mi viene da pensare che Kurt è morto solo, senza nessuno
che potesse fermarlo, senza sapere cosa avrebbe rappresentato per generazioni
quel cazzo di maglione. Senza una buona musica. Senza rughe. E’ morto Seattle
sound, grunge. E io non lo sono mai stato e non ho mai visto nessuno davvero
grunge in vita mia, in carne ed ossa. E forse è meglio così, è meglio che abbia
spalmato pezzi di cervello sul muro piuttosto di finire come un Ozzy Osbourne
del cazzo qualunque. Ha sigillato il suo mito. Sono le cose che mi fanno
credere che ci sia un disegno superiore, un grande manovratore di fili. Ozzy Osbourne
vaffanculo, meglio un bel proiettile, bum, anzi “In bloom”. Finito. Sipario.